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Radicalcoaching

Smetti di mangiare peperoncini e sii felice!

  • Cathiana Reyes
  • 15 Febbraio 2019

Oggi vi racconto una storia sulla felicità che ho sentito in una conferenza di Alejandro Jodorowsky; inizia così..

In Medio Oriente c’è un saggio un po’ idiota, che si chiama Mulan Arundhin. Non si sa, appunto, se è idiota o saggio: i bambini ridono quando lo sentono parlare, mentre altri saggi, e anche alcuni professori, lo portano ad esempio se ti vogliono portare a scoprire qualcosa di te stesso!

Mulan Arundhin è seduto all’uscita del mercato, ha un gran pacco di peperoncini, e se li mangia, diventando tutto rosso (rosso perché il peperoncino è molto piccante).

Immaginiamo ora che la moneta di questo paese sia l’euro.

Un amico che passa per il mercato vede Mulan, gli chiede cosa fa con tutto questo peperoncino e, soprattutto, quanto ne ha comprato?

Mulan Arundhin risponde: un chilo!

L’amico: ma dove lo hai preso?

Mulan Arundhin: al mercato, a 10 euro il chilo

L’amico gli chiede: come mai li stai mangiando tutti adesso?

Mulan Arundhin risponde: non sto mangiando i peperoncini, mi mangio i miei 10 euro visto che li ho spesi.

In questo momento, Mulan Arundhin è una persona che si sta torturando, perché ha spesso 10 euro!

Io mi domando: “che peperoncino mi sto mangiando? che cosa continuo a fare visto che ho già spesso i miei soldi? Perché credo di non poter fare nulla di diverso!  Come mai non riesco ad affrontare il fatto che una cosa che ho scelto, che credevo fosse la cosa giusta in quel momento, possa essere diversa dopo?

  • magari avevo delle aspettative;
  • magari lo avevo fatto solo per accontentare qualcuno;
  • magari lo avevo fatto perché tutti facevano così.

Una volta capita la ragione per la quale continuo a mangiare i peperoncini, come mai non smetto di mangiare i peperoncini? Ci sono per caso delle convinzioni che mi bloccano? Per esempio:

  • Non posso buttare i miei soldi, mi sono sforzato troppo per guadagnarli
  • Ho fatto di tutto per trovarlo! Ora non posso lasciarlo.
  • Tutto quello che inizio devo finirlo!
  • Se gli altri ci riescono, allora ci riesco anch’io.
  • Meglio il vecchio conosciuto che il nuovo che non conosco.

Se ti trovi a mangiare peperoncini e non sei felice di quello che fai, allora smetti di farlo. Se non ci riesci, molto probabilmente ci sono delle convinzioni che ti limitano e ti serve una tecnica per cambiarle!

Contattami a: info@radicalcoaching.it

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Come diventare life coach

  • Cathiana Reyes
  • 8 Febbraio 2019

Voglio raccontarvi come lo sono diventata.

All’inizio non conoscevo il coaching. Mi ero ritrovata in un momento della mia vita dove necessitavo di risolvere un bisogno personale e avevo cercato per prima una figura di psicoterapeuta, in quanto conoscevo solo quella professione.

Cosi iniziai a cercare degli psicologi, ma non trovai quello giusto per me. Chiesi a una amica se conosceva qualcuno e mi diede un nome di una psicoterapeuta ma, dopo due mesi che andavo da lei, per ben due sedute fu lei che finì per parlarmi dei suoi problemi con i suoi figli. Decisi così che era il momento di concludere…

Ero rimasta molto delusa da quella esperienza, non avevo risolto il mio problema e avevo perso il mio tempo, oltre che peggiorato qualche mio dubbio. Ad ogni modo, anche da quella esperienza potei trarre un aspetto positivo: a causa dell’insistenza della psicoterapeuta, iniziai infatti a frequentare yoga e, sempre grazie a lei, nella mia mente iniziava ad affiorare l’idea che l’aiutare agli altri poteva essere la mia vera vocazione, anche se in quel momento il fatto di dover rimettermi a studiare non mi attirava molto.

Per un anno, dunque, provai a “fare da me”: iniziai a prendere i fiori di bach, che mi aiutarono molto ma lavorano solo sul “qui e ora” senza andare in profondità. Poi iniziai a leggere un libro che contribuì ad aprirmi gli occhi: “Donne che amano troppo”, della Norwood. Grazie a questo libro capii che il dare troppo agli altri – senza sapere amare e conoscere prima a se stessi – poteva essere un problema, ma quello che mi fece andare oltre fu un altro suo libro: “Guarire coi perché”.

Dopo aver letto i libri della Norwood, cercai dunque un gruppo di aiuto per donne che amano troppo. La conduttrice era un counselor, ma mi resi conto che non era posto per me: c’erano persone con problemi seri, e mi sembrava che alla fine le altre persone presenti mi ostacolavano nelle mie scoperte personali. Io avevo bisogno di altro. Iniziai a interessarmi alla figura del counselor: mi piaceva l’idea che dopo tre anni di studi, si potessero aiutare le persone. Trovai nel frattempo un Istituto dove parlavano anche del coaching, e di un corso che durava solo 6 mesi! Per me fu fantastico perché, anche se il corso aveva un costo elevato, pensai che invece di andare in vacanza – e buttare i soldi, perché quando tornavo i miei problemi tornavano – forse era meglio investire in qualcosa che mi potesse aiutare.

Che dire, dopo questa esperienza la mia vita iniziò a cambiare. Finalmente avevo trovato il percorso giusto per me. Le esperienze passate mi erano servite per capire cosa non volevo diventare, e invece quella del coaching, anche se fu breve, fu molto intensa e mi permise di capire quali erano i miei difetti, ma anche quali i miei potenziali sul quale focalizzarmi per costruire il mio futuro.

Questa è stata la mia esperienza che mi ha portato, dopo aver conosciuto il coaching, ad approfondire i miei studi in psicologia e a partecipare ad altri percorsi come il Fast Reset e il Reiki, fino a decidere di lasciare la mia professione ed intraprenderne una nuova, che considero più mia.

Ho conosciuto persone che occupano posizioni di leadership, manager, professionisti, consulenti, maestri ma anche psicoterapeuti, psicologi, e operatori sanitari che, lavorando nelle relazioni di aiuto, hanno desiderato acquisire degli strumenti di crescita personale per lavorare sia su se stessi che anche su gli altri. Gli strumenti del coaching li hanno aiutati a migliorare la loro empatia, a migliorare la loro sintonia con le persone che stanno loro attorno. L’acquisire le capacità di coaching può infatti essere di aiuto nella vita di tutti i giorni, come nell’aiutare un amico in difficolta, nel guidare un collaboratore ad essere più performante o supportare i propri figli, e anche nel migliorare le relazioni di coppia.

Se ancora non hai le idee chiare sul tuo futuro professionale o sul tuo percorso di crescita personale, richiede gratis: “come diventare coach di te stesso”  https://www.radicalcoaching.it/il-mio-regalo/

Se invece stai pensando di fare un corso certificato per diventare Life Coach, allora chiedi informazione del mio corso che avrà inizio dopo l’estate. Scrivimi a info@radiacalcoaching.it

Chi si ferma non si forma!

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Definire il vostro obiettivo per il 2019!

  • Cathiana Reyes
  • 1 Febbraio 2019

Ormai sappiamo che le emozioni sono il motore nella nostra vita (clicca qui se vuoi leggere di più su questo argomento: Obiettivi, Focus, Emozioni ). A volte ci remano contro, a volte ci portano verso ciò che noi vogliamo.

Partendo da questa premessa, useremo le nostre emozioni positive come leva per raggiungere ciò che vogliamo.

Siete pronti!? Ok, allora partiamo da un obiettivo che avete già raggiunto, per il quale avete faticato tanto, che vi sembrava quasi irraggiungibile. Non interessa quando e in che ambito, ciò che interessa e che ve lo ricordiate come se fosse ieri.

Dunque, trovato? A me, per esempio, la prima cosa che viene in mente è il momento in cui mio marito chiese la mia mano davanti a tutta la mia famiglia. Per me fu ed è tuttora un momento indimenticabile!

Da piccola mi ricordavo quando mio cognato venne a casa mia a chiedere ai miei genitori e davanti a tutta la famiglia di sposare mia sorella più grande, e io pensai: ah, anch’io voglio che succeda così per me.

Una volta trovato un obiettivo che avete già raggiunto, adesso scrivete ciò che avete sentito quando lo avete raggiunto. Io per esempio, mi sentivo al settimo cielo, ormai credevo di non trovare la persona giusta per me, e quindi il giorno del mio fidanzamento non mi sembrava vero, mi sentivo piena, felice in ogni angolo del mio corpo, proprio come se ci fosse una luce che parte da dentro e riempie e illumina tutto.

Se hai difficoltà ad ascoltare le tue emozioni, sensazioni, percezioni, richiedi il tuo regalo gratuito qui: https://www.radicalcoaching.it/il-mio-regalo/

Come hai notato, non è proprio il raggiungimento dell’obiettivo che uno vuole, ma la sensazione che avrai quando lo avrai raggiunto.

Identifica la sensazione che vuoi ripetere anche per questo anno e dalle un nome! Per esempio, nel mio caso io scriverei: “settimo cielo”.

Definizione del tuo obiettivo per il 2019

Per esempio: dimagrire di 10 chili, trovare la persona giusta, ritrovare del tempo per me stessa, gestire meglio il mio tempo tra lavoro e famiglia, sviluppare i miei valori, riuscire a parlare in pubblico in completa tranquillità.

Il mio obbiettivo per questo anno sarà quello di aprire la mia scuola di coaching per donne che vogliono avere degli strumenti per la propria realizzazione, sia personale che professionale.

Se vuoi informazioni sul mio corso, che avrà inizio dopo l’estate, scrivimi a info@radiacalcoaching.it

Una volta definito il tuo obiettivo, pensalo insieme alla sensazione che vuoi avere, per esempio “fare il mio corso di coaching per donne, per sentirmi al settimo cielo”.

Adesso tocca a te! Qual è il primo passo che farai, che ti permetterà di raggiungere il tuo obiettivo?

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Una Leadership riconosciuta e condivisa

  • Cathiana Reyes
  • 25 Gennaio 2019

Oggi vorrei iniziare con una storia.

Una coppia (Luca e Donatella) e la sorella di lei (Silvana) decidono di andare in montagna, a fare una ciaspolata. Per Silvana è la terza uscita, invece per Donatella è la seconda volta. Lui invece è più pratico dello sci che delle ciaspole, conosce la zona perché in passato e per tanti anni è andato a sciare, questa volta però vorrebbe fare un percorso meno battuto, ma comunque segnalato. Lui sa che le due donne sono molto sportive, e crede che anche per le ciaspole non siano alle prime armi. Chiede loro se vogliono andare su un percorso piatto o se invece vorrebbero salire sulla montagna perché lui è curioso di vedere cosa c’è oltre il crinale, loro rispondono che salire non sarà un problema. Inizia dunque la salita: Luca è davanti, apre la strada, le due sorelle sono dietro. Finché il percorso è pianeggiante, nessuno ha problemi e tutti hanno più o meno la stessa andatura. Quando si inizia a salire, Donatella procede più lentamente, Luca – che è davanti – va a controllare per capire come mai la sua compagna sta rallentando. Si rende conto che non sta usando bene le ciaspole: le spiega che per le salite è meglio se sganci dietro, in modo che il passo si alleggerisca e lei sia più libera di camminare. Donatella, però, è una donna un po’ testarda, e risponde che si sente più comoda cosi, anche se va piano. Silvana la sorella, vedendo e ascoltando la situazione, conferma ciò che Luca sta dicendo, ma comunque non ottiene nessun risultato. Dice a Luca di non preoccuparsi, lei conosce bene sua sorella e sa che in queste situazioni è meglio lasciarla con le sue convinzioni – anche se sbagliate – in quanto prima o poi si renderà conto del suo errore. Così tutti e tre continuano a salire, anche se al rallentatore.

Più avanti si presenta un’altra difficoltà: le due sorelle si ritrovano a camminare sul fianco della montagna e, causa l’inesperienza, non sanno bene come mettere i piedi. Silvana scivola, senza però farsi troppo male. Luca, che le precedeva, torna indietro e le spiega come deve mettere sia i piedi che il corpo in situazioni come questa. Silvana ascolta e ci prova, ma fa fatica, dice comunque a lui di non rallentare troppo e di continuare ad andare avanti, di non fermarsi. Luca riprende a condurre il piccolo gruppo e, quando stanno per arrivare a pochi metri dalla cima, si accorge che Donatella è stanca morta, soprattutto perché non ha voluto ascoltare i suoi consigli riguardo l’uso delle ciaspole.

A questo punto, finalmente, Donatella si rende conto del suo errore: è molto stanca e rimane in fondo alla fila. Anche la sorella fa fatica a salire. Luca vuole arrivare in cima, ma vorrebbe che arrivassero tutti insieme. Si fermano per capire la situazione. C’è una piccola discussione sul fatto che le donne non sono molto pratiche delle ciaspole e quindi Luca vuole tornare indietro perché le sue compagne di avventura non ce la fanno, ma le due donne gli chiedono di non fermarsi: anche se sono stanche, piano piano riusciranno ad andare avanti. Lui è più tranquillo e continua la salita, voltandosi sempre per controllare che le due donne lo seguano, arriva per primo in cima e poi torna indietro dicendo che la strada per la vetta è ancora lunga, ma si sta facendo tardi e il sole inizia a scendere: forse è meglio non proseguire.

Decidono allora tutti insieme di avviarsi verso il ritorno.

 

Con questa storia ho voluto farvi vedere che nella vita di un gruppo, quando c’è rispetto reciproco, non è difficile condividere un obiettivo e identificare chi è la guida, che può esercitare il suo carisma grazie alla sua esperienza e alla voglia di fare cose nuove con le competenze costruite nel tempo. In queste situazioni, gli altri si affidano, e nella fiducia reciproca non ci sono problemi di comunicazione: se c’è qualcosa che non va si discute, si arriva a una soluzione migliore sia per il singolo che per il gruppo, perché si riconosce che ogni singola persona ha le proprie capacità per risolvere i problemi coi propri tempi, e alla fine si arriva così ad una soluzione. Certo, nella situazione che vi ho presentato qui la fiducia si ha perché ci si conosce, ma perché allora anche nelle aziende non si fa la stessa cosa, diventando un gruppo unito, dove tutti si conoscono e si fidano degli altri?

I giapponesi sono molto avanti nel promuovere conoscenza reciproca e fiducia negli altri: per esempio, alla Panasonic una volta alla settimana un dipendente, a prescindere dalla sua posizione, deve parlare per 10 minuti davanti a tutti. Può dire qualsiasi cosa, parlare di economia, su un fatto di cronaca, addirittura raccontare una barzelletta. Questo gli permette di farsi conoscere, e aumenta la sua fiducia in sé stesso.

Voi nelle vostre aziende, cosa fatte per creare un ambiente coeso, dove ogni persona può dire realmente ciò che sente o pensa, senza paura di essere frainteso o richiamato?

 

Se pensate di aver bisogno di un intervento di coaching per migliorare l’ambiente lavorativo, chiedete informazioni e vi preparerò una proposta su misura.

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Il mio rinnovato incontro con la spiritualità

  • Cathiana Reyes
  • 18 Gennaio 2019

Leggendo uno dei tanti libri scritti da Lowen (padre della bioenergetica), mi rimase impresso il suo desiderio che il figlio frequentasse una scuola cattolica, perché per lui era importante che il ragazzo crescesse con dei valori e soprattutto che sapesse dell’esistenza di Dio: da grande, questa conoscenza lo avrebbe aiutato nei momenti di difficoltà. Mentre programmava il percorso di studi del figlio, si rese però conto che egli era già in contatto con Dio. E cosi decise di fargli frequentare una scuola normale.

In effetti credo anch’io che i bambini fino ai cinque anni, più o meno l’età in cui non hanno ancora iniziato la scuola, sono ancora molto a contatto con Dio, lo sentono essendo in contatto con la loro vera natura. Quando invece iniziano con la scuola sperimentano le prime paure: di stare da soli senza la mamma, di persone che non conoscono, magari anche di maestre un po’ ostili, e – perché no – di dover imparare tante nuove cose. Tutti questi cambiamenti creano dei disagi che bloccano le capacità di sentire, e allora quel bambino si dimentica di Dio, si allontana da lui, smette di sentire che fa parte di qualcosa di più grande di lui. E ci si dimentica chi siamo e cosa siamo venuti a fare in questo mondo.

Nella mia vita, a me era successo qualcosa di simile: vi racconterò quindi come era il mio rapporto con Dio e poi del perché mi allontanai da Lui. Comunque, anche se non ne volevo sapere più niente, lo stesso lui c’era e me lo faceva sentire, ma io non capivo.

Ricordo ancora quando mio padre, tutte le sere prima di andare a dormire, mi insegnava a pregare. Questo rito costantemente ripetuto mi piaceva, mi faceva sentire a contatto con papà. Di notte, quando avevo paura, non sapevo come addormentarmi e allora provavo a contare le pecore, ma non funzionava. Così iniziavo a pregare fino a quando mi addormentavo. Questo mi faceva sentire protetta.

Quando frequentavo le elementari, mio padre mi accompagnava a catechismo tutte le domeniche: mi stavo preparando per la prima comunione, mi ricordo che mi piaceva ascoltare le storie raccontate dei preti riguardo la vita di Gesù, cantare le canzoni durante la messa, le avevo imparate quasi tutte. I miei genitori erano separati, per questo era mio padre a portarmi in chiesa, a scuola, al parco. Spesso prima di sera lo accompagnavamo a comprare il pane, mentre nel weekend andavamo insieme al mercato. Quando tornavamo a casa, mio padre si lamentava di mia madre e ci raccontava della loro storia, di come si erano conosciuti, del perché si erano sposati ed il motivo per cui, dopo avere avuto 6 figli, decisero di separarsi.

Lui parlava sempre male di lei, diceva che era una cattiva madre e per questo aveva deciso di occuparsi delle ultime tre figlie, infatti lui mi faceva sia da Padre che da Madre, nonostante mia madre vivesse nella nostra stessa casa.

Quando divenni adolescente, l’odio di mio padre verso mia madre aumentò, e io non capivo come un uomo così religioso non potesse perdonare quanto secondo lui mia madre faceva e aveva fatto in passato. Dopo tutto, la chiesa cattolica ci diceva di perdonare tutti, e che l’odio è sbagliato. Iniziai così a non andare più in chiesa con lui, perché ciò che faceva mi sembrava un’ipocrisia, mi sembrava troppo facile andare in chiesa e dire: “mia colpa, mia colpa”, e poi tornare a casa uguale con lo stesso atteggiamento. Iniziai a non credere più in Dio e nella Chiesa Cattolica, anche se dopo la comunione feci anche la cresima principalmente per senso del dovere, perché a scuola i miei amici lo facevano e perché la mia famiglia era cattolica, e non potevo fare diversamente. Anche dopo l’esperienza positiva del ritiro spirituale, svolto prima di fare la Cresima, non sono tornata ad aver fiducia in Dio, ma avevo comunque iniziato a sentire qualcosa dentro di me, che in quel momento non sapevo bene cosa fosse.

Passato diverso tempo, verso i 36 anni ho avuto quella che può essere considerata una “crisi esistenziale”, che mi ha portato a compiere una ricerca di crescita personale per capire cosa stesse succedendo nella mia vita. Decisi di fare il corso di coaching per capire se quella potesse essere la mia strada. Al termine del percorso, ancora non ero tornata a credere in Dio, però iniziai a farmi delle domande riguardo a Lui, se veramente esistesse o no, e se fosse giusto che le persone lasciassero a Lui tutto il potere di risolvere il loro problemi.

Dopo questa bellissima esperienza, capii che il mio percorso di crescita personale stava iniziando, con una nota più positiva, che il coaching era la strada giusta per me, e anche se avevo ancora tanto da lavorare e migliorare su me stessa, ora avevo tanti strumenti con i quali avrei potuto proseguire da sola, almeno per un po’. Sentivo di non avere bisogno di guide esterne, ma che dovevo iniziare a seguire il mio istinto.

Riprendendo il filo del discorso sul mio allontanamento da Dio e della chiesa cattolica, causati della mia delusione per il comportamento di mio padre, l’aver scoperto che la mia strada stava cambiando mi fece capire che avevo ancora tanto da capire. Continuai dunque a cercare corsi che mi aiutassero a comprendere come stavo progredendo, e cosi trovai un corso che mi piaceva molto, che mi portò anche ad acquisire il primo livello reiki.

Reiki, ma cos’è? Non lo sapevo, ma visto che era un requisito per ottenere un attestato che desideravo tanto, mi convinsi a farlo.

Per me è stata un’esperienza molto illuminante: il contatto con questa esperienza mi ha dato pace, tranquillità, apertura mentale. Più usavo il reiki, più mi faceva sentire parte di qualcosa di più grande. Ho iniziato a capire che tutta quella energia che avevo sentito durante tutta la mia vita, era la sua presenza, è che io per cause di tutte le mie paure, convinzioni limitanti, mi ero allontanata da questa forza. Grazie al Reiki ho ripreso a sentirla, a capire che non sono da sola nel mondo, che basta che mi connetta con lui per sentirla, e questo mi ha permesso di avere più fiducia in me stessa, mi ha fatto sentire che ce la posso fare, che posso andare avanti nella vita, che semplicemente devo ascoltare la guida che è dentro di me, che sa cosa devo fare e mi connette con chi è più grande di me.

Quella energia, che qualcuno chiama Dio, Allah, Yahweh, Tao, Reiki, semplicemente essere, c’è, esiste, e credo che solo sentendola uno può capire il suo significato.

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Vivere senza stress

  • Cathiana Reyes
  • 11 Gennaio 2019

È possibile?  Si, quando accettiamo di avere un problema e che ci servono degli strumenti per affrontarlo. Ad esempio, la tecnica del FastReset ci permette di cambiare la nostra risposta a quelle situazioni che ci sembrano insormontabili, avendo come risultato una migliore gestione della situazione e – a volte – anche trovando delle soluzioni che prima d’ora non venivano alla nostra coscienza, perché rapiti nel mantenere attiva la nostra risposta automatica.

Cerchiamo però prima di capire cosa è uno stress. Selye (1996) formulò la seguente definizione di stress: risposta relativamente specifica dell’organismo ad uno stimolo che ne minaccia la sopravvivenza e l’integrità fisica e che destabilizza l’omeostasi.

Dunque, un evento diventa stressante quando l’individuo lo percepisce come minaccioso o quando si prende coscienza di non avere a disposizione risorse o strategie per farvi fronte. L’interpretazione da parte di un individuo ha un ruolo importante nel determinare ciò che è stressante e ciò che non lo è.

Un altro elemento fondamentale in relazione allo stress è il livello di intensità che questo può raggiungere, il che porta a una classifica di diverse situazioni stressanti come:

  • Stressori cataclismici: di elevata intensità che insorgono all’improvviso e influenzano molte persone. Ne sono esempi i tornado, gli incidenti aerei e gli attacchi terroristici. Alcune persone che hanno sperimentato qui un altro grado di stress sono soggette a un Disturbo Postraumatico da Stress (PTSD).
  • Stressori personali: relativi a eventi importanti della propria vita, come può essere la perdita del lavoro, di un genitore o di un coniuge, un fallimento personale, producono una reazione immediata e rilevante che gradualmente si affievolisce.
  • Stressori ambientali (fatiche quotidiane): ad esempio le lunghe file d’attesa, il traffico intenso, i rumori della città, comportamenti irritanti degli altri, insoddisfazione sul lavoro o nelle relazioni intime – che di per sé non attivano un elevato livello di stress -, quando si sommano possono avere lo stesso peso di un singolo evento stressante più grave.

Le persone che riescono ad affrontare lo stress con più successo hanno un tratto di personalità definito hardiness, caratteristica di invulnerabilità allo stress.

L’hardiness è costituita da tre componenti:

‐ l’impegno (commitment), cioè la tendenza a lanciarsi in qualsiasi compito con la sensazione che sia importante e significativo;

‐ la sensazione di sfida (challenge), ritenere che il cambiamento sia la condizione normale della vita;

‐ la sensazione di controllo (control), considerata come la percezione che le persone siano in grado di influenzare gli eventi della propria vita.

Queste persone usano strategie sia per regolare la risposta allo stress, quando le sue cause sono immodificabili, sia l’attuazione di piani per modificare la causa dello stress, quando questo appare modificabile.

Le persone che invece non riescono ad affrontare lo stress in maniera positiva utilizzano meccanismi di difesa che distolgono o negano la natura stessa delle situazioni. Purtroppo, questi sono dei meccanismi che non affrontano la realtà, ma semplicemente evitano il problema.

Se, dunque, vivi delle situazioni sia al lavoro che nella vita familiare che ti sembrano immodificabili, che ritieni di dover accettare e subire, sappi che quelle sensazioni legate a queste situazioni si possono cambiare attraverso la tecnica del FastReset, creata dalla Dott.sa Maria Grazia Parisi, che aiuta a diminuire la componente negativa delle emozioni che ci impediscono di trovare le soluzioni ai nostri problemi.

Se vuoi venire a trovarmi per conoscere questa tecnica e provarla, il primo incontro è gratuito!

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Ottimismo e schemi mentali.

  • Cathiana Reyes
  • 30 Novembre 2018

È meglio essere ottimisti e avere torto piuttosto che pessimisti e avere ragione.

– Albert Einstein –

 

Come trovare il lato positivo in un momento negativo di difficoltà. Ecco alcuni accorgimenti da seguire:

* Non guardare solo il muro che c’è davanti a te, ma guardati intorno. Puoi trovare un’altra via di uscita! Alcuni scienziati hanno fatto un esperimento con una scimmia, la più dotata del gruppo. L’hanno chiusa in una cella con attaccato un casco di banane posto molto in alto, e l’hanno osservata per diversi giorni. Essi videro come la scimmia provasse per diversi giorni a saltare in continuazione per prendere queste banane. Quando sembrava che la scimmia si fosse arresa, trovandosi a terra ormai frustrata perché non riusciva a prendere quelle dannate banane… la scimmia si girò e vide uno sgabello… non vi dico la sua espressione di felicità e soprattutto come, dopo averlo afferrato ed esserci salita sopra, si mangiò gustosamente le desiderate banane 😉 La morale è che non bisogna mai risolvere un problema con la stessa soluzione già sperimentata che non funziona, ma bisogna ampliare la propria cornice, esplorare ulteriori possibilità e provare nuove soluzioni.

* Non guardare mai l’erba del vicino! So che sempre è più bella, più verde, ma a volte ci fa solo perdere tempo perché ci disorienta dal nostro obiettivo, ci fa perdere energie. Piuttosto, guarda dentro di te e valorizza ciò che hai, usa i tuoi talenti per perseguire i tuoi obiettivi. Solo lavorando sodo, restando nel qui e ora, dando il massimo di te senza nessuna pretesa, potrai arrivare a realizzare i tuoi obiettivi.

* Cambia le tue convinzioni e credenze limitanti! Ad esempio, pensiamo spesso: “sono fatto così, non posso cambiare, è impossibile, è più forte di me!” Ecco, ogni volta che dici così ti sei formato uno schema mentale che molto probabilmente si è costituito quando eri piccolo, o da giovane, e da allora questo schema entra in azione in automatico, più lo ripeti più si rinforza, più credi che sia così più diventa inconscio! È per questo che tu credi che non si possa cambiare, perché ormai non è più nella tua coscienza; ma non ti preoccupare, non tutto è perduto. Una volta si pensava che i pensieri, i comportamenti, i caratteri, i modi di fare, non si potessero cambiare; per fortuna le neuroscienze hanno sfatato questo mito; ormai si sa che i neuroni sono in continuo cambiamento, nascono, crescono, si modificano e quelli che non servono, muoiono! Dunque, basta volere il cambiamento per fare qualunque cosa tu voglia fare.

 

Ora ti do un semplice esercizio utile a depotenziare i pensieri negativi: scrivere una frase.

Sei seduto comodo? Con le gambe rilassate (non incrociate o accavallate), hai la schiena diritta? Ok, adesso prendi penna e carta! Fatto? Ora scrivi: la mia convinzione che sia impossibile cambiare il mio modo di pensare vuole convincermi che le cose stanno così… (esplicita poi chiaramente ciò che realmente pensi di questa situazione). Ora, ripeti la frase ad alta voce (o anche solo mentalmente) e quando hai finito inspira profondamente e sposta il tuo sguardo, espirando, verso le mani. Ripeti questa azione almeno 3 volte, poi pronuncia questa frase “di rilascio”: lascio andare la mia convinzione che sia impossibile cambiare il mio modo di pensare perché le cose stanno così. Tutto quello che non serve, non mi interessa e non mi appartiene più!

Ricorda: ogni volta che hai una convinzione o credenza limitante, che ti inibisce o ti blocca nell’azione, puoi formare una nuova frase simile a questa frase, ripeterla respirando e guardando le tue mani. Ripeti l’azione almeno 3 volte e poi pronuncia la frase di rilascio.

Nella vita i problemi ci saranno sempre, ma se tu li saprai prendere con ottimismo vedrai che i problemi sono ostacoli che si possono superare….

Se invece è da un po’ che provi a modificare uno schema ripetitivo senza riuscirci, allora chiamami!

 

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Mettersi a disposizione degli altri

  • Cathiana Reyes
  • 23 Novembre 2018

Questa volta vi presento la testimonianza di Ivi Kussmaul, studentessa tedesca di 18 anni. Ho ascoltato il suo intervento lo scorso febbraio nel seminario annuale internazionale che l’ADI, Associazione docenti e dirigenti scolastici italiani, realizza ogni anno a Bologna. In quell’occasione, presentava la sua scuola di Berlino. Ha parlato in modo molto semplice e con molta passione della sua esperienza in questa nuova tipologia di scuola, davanti a 500 persone in una lingua che non era la sua, l’inglese. In questa scuola molto innovativa, che lei ha iniziato a frequentare dall’età di 10 anni, oltre alle solite materie come matematica e lingue, si affrontano altre discipline altrettanto importanti: coraggio, responsabilità e autonomia (qui la trascrizione del suo intervento http://adiscuola.it/pubblicazioni/esbz-a-berlino-una-scuola-che-valorizza-gli-studenti/). In questo mio post, riporto il suo intervento per quel che riguarda l’apprendimento del concetto di responsabilità verso gli altri, e di come questa esperienza la ha aiutata a superare le sue paure, a migliorare la sua fiducia in se stessa, e le ha dato grande energia per superare anche le materie più noiose a scuola.

Il progetto responsabilità

Adesso vengo alla parte che più mi interessa, la più importante: il progetto della responsabilità.

Dal settimo e ottavo anno, quando gli allievi hanno 12-13 anni, cominciano ad assumere degli impegni sociali.

Gli impegni possono essere presso una scuola dell’infanzia o in una casa di riposo, oppure possono andare a parlare in pubblico dei cambiamenti climatici, di sviluppo sostenibile, o altre attività ancora, come la manutenzione di un parco, ecc.. L’importante è fare qualcosa di positivo per gli altri, fare del bene.

Ecco una parte del racconto di Ivi: quando ho cominciato con il progetto responsabilità avevo 12 anni, mi sono recata in una scuola dell’infanzia, ho bussato alla porta e ho detto: “Buongiorno mi chiamo Ivi, avete bisogno di aiuto?” Ero timidissima e veramente spaventata, e mi chiedevo: “Che ci faccio qui? Che cosa so fare? Non sono capace”. Invece sono stata accolta a braccia aperte, mi hanno detto di cominciare la settimana dopo, ero veramente entusiasta, mai avrei pensato di essere utile agli altri. Magari potevo essere brava in matematica, ma mai avrei creduto di potermi mettere a disposizione degli altri.
Ho organizzato delle lezioni di danza moderna per bambini piccoli 3 – 5 – 7 anni, volevo trasmettere la mia passione per la danza contemporanea. Immaginate però 10 bambini che corrono come degli scalmanati senza controllo, non sapevo come fare a tenerli a bada. Gestirli non è stato facile, ma alla fine in un modo o nell’altro siamo riusciti a fare anche il saggio finale. Dopo lo spettacolo mi sono seduta con i bambini e ho detto: “E’ stato bello, allora, adesso ci salutiamo”. Ero sollevata, non ne potevo più, perché era stato un anno bello, ma anche stressante per me. Un bambino, allora, mi ha detto: “OK, ciao, ci vediamo dopo le vacanze estive”. Ero atterrita, ma erano tutti d’accordo, mi hanno gridato: “Vogliamo che torni, vogliamo che torni”. Tutti avevano dato per scontato che avrei continuato, io però non ho preso impegni sul momento e durante l’estate ci ho riflettuto. Mi sono detta “Ok lo rifaccio, ma nel mio tempo libero”. Così ho rifatto un altro anno. Di nuovo è arrivata l’estate, di nuovo la stessa situazione che si è ripetuta, e di nuovo ho rinnovato l’impegno perché ai bambini era piaciuto tanto. Era stato utile per i bambini.

Non facciamo niente di speciale in questi progetti. Utilizziamo i nostri fondi, quelli che ci vengono anche dati dalle nostre famiglie. Alcune volte occorre andare oltre quanto programmato a scuola, e questo è veramente un momento critico, che fa paura, ma una volta che hai superato questa linea rossa, niente più ti spaventa, perché hai già fatto la prova, perché vedi che ci sono delle persone che dipendono da te e che stai facendo un piccolo grande cambiamento per qualcun altro. Tutto questo ti fa cambiare, fa la differenza, senza questo progetto, non mai mi sarei immaginata di poter essere utile agli altri.

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La stessa persona!?

  • Cathiana Reyes
  • 9 Novembre 2018

Quando i nostri ruoli diventano rigidi, ci dimentichiamo di noi stessi.

Buongiorno.

Sono Cathiana Reyes, nata a Lima (Perù) l’8 di agosto del 1977, ho studiato amministrazione delle imprese in Perù per 4 anni e mezzo, poi quando arrivai in Italia ho proseguito i miei studi e mi sono laureata in Economia e Commercio. Ho lavorato per 9 anni nel settore della revisione contabile, e recentemente mi sono laureata in Scienze e tecniche psicologiche. Sono una Life Coach da 4 anni e ho seguito diversi corsi su tecniche per lavorare con le emozioni negative.

Sono anche moglie, figlia, sorella, amica, ballerina, sportiva amante delle ferrate.

Ma io realmente chi sono? Fino adesso ho parlato solo di date, studi, lauree, ruoli, nomi, etichette, come ci obbliga a fare il nascere in questo mondo sociale, politico, religioso, economico, scientifico nel quale viviamo. Tutto deve essere subito comprensibile, quantificabile, e facile da comunicare. Non sto dicendo che questo è sbagliato, ma ritengo che questo modo di identificarci ci allontana dall’essere noi stessi, perché per rappresentarci in tutti questi ruoli, ci dimentichiamo semplicemente di chi siamo. Le mie amiche, i miei clienti donne quando hanno una certa età si vedono troppo vecchie per una seconda opportunità nella vita: per cambiare lavoro, per conoscere persone nuove. Questo perché si identificano con la loro età e professione. Se, invece, si ricordassero chi sono realmente, allora non avrebbero così tante limitazioni, tanti paletti. Se solo si lasciassero aprire alla propria immaginazione, alle loro passioni, la loro vita sarebbe diversa.

 

Ciao a tutti!

Sono un essere che ha ritrovato la luce, cioè se stessa. Prima vivevo nel buio, anche se ne avevo letteralmente paura. Vivevo dietro le mie maschere, i miei ruoli da seguire, ero piena di paure e inibizioni, ma ora so che tutto questo sono solo dei ruoli con i quali non mi identifico più. Questo mi permette di essere più tranquilla e serena quando per esempio lavoro, e realmente in ogni momento della mia vita. L’essere connessa con il mio essere me stessa mi permette di non infastidirmi come mi accadeva prima, ogni qualvolta la mia professionalità veniva giudicata dagli altri o anche da me stessa, dai miei propri pregiudizi.

L’essere me stessa sempre, senza pregiudizi, mi fa ricordare che io sono in questo mondo per imparare, crescere ed evolvere come essere umano, niente di più e niente di meno. Quindi ora cerco di fare principalmente cose che mi fanno stare bene e risuonano con la mia essenza.

Avete visto la differenza tra la prima e la seconda descrizione di me stessa, della stessa persona? Nella prima ero molto fredda, e semplicemente facevo un elenco delle mie certificazioni e status; nella seconda, sono invece molto spontanea e semplice. Il non identificarsi con i propri ruoli permette alle persone di far cadere le maschere che si sono create o impersonificano, in modo che possano essere se stesse in ogni momento. Questo permette di avere relazioni più appaganti e sane sia nella vita professionale che privata, perché si mettono da parte etichette e pregiudizi.

Come iniziare questa trasformazione? Raffaele Morelli nel suo libro “Realizzare se stessi”, propone di liberarsi dai modelli e dai ruoli, imparando ad osservare senza giudicare, eliminando le parole e i gesti inutili, aprendo la mente al nuovo e all’inatteso.

Detto così, sembra facile, è in effetti è facile, non è impossibile, ma ci vuole del tempo unito ad un pizzico di determinazione, costanza e convinzione. Dunque procedendo senza fretta ma senza sosta, e meglio ancora in compagnia di qualcuno che ci guida in questo viaggio di riscoperta. Ad esempio, io prima di iniziare ad ascoltare me stessa ero molto bloccata dalla mia paura del buio, avevo paura nel rilassarmi e sentire le vibrazioni del mio corpo, che non erano altro che energia che non lasciavo sfogare, in quanto rimuginavo continuamente senza lasciarmi andare. Ho superato queste paure e blocchi provando diverse tecniche, come la respirazione metacorporea, l’ipnosi regressiva, le costellazioni famigliari, il fastreset, e altri.  Ora, le mie paure sono andate via. Certo, ce ne sono ancora, ma quelle che mi serviva eliminare per rilassarmi e iniziare a vivere pienamente la vita, credo di averle superate tutte.

Una volta superata le mie paure, mi sono dedicata ad ascoltare me stessa e il mio corpo: senza paure le cose sono diventare molto più facili, e questo anche grazie ad un audio, un esercizio che ora ho personalmente rivisitato e che ora è diventato il mio regalo per te: basta andare al mio sito e scaricarlo.

Inoltre, ho lavorato sui miei pregiudizi attraverso il metodo fast reset, che uso ora prevalentemente per elaborare tutte le emozioni negative: questo mi ha aiutato a vedere le persone e il mondo in tutto un altro modo.

Se anche tu vuoi iniziare un lavoro per sentirti più libera, per sentirti più te stessa, in ogni momento della tua vita, al lavoro, con il tuo partner o con i tuoi figli, chiedimi informazioni su come iniziare.

 

Il primo colloquio è gratuito.

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Scoprire il tuo Talento

  • Cathiana Reyes
  • 2 Novembre 2018

Ricordo che, durante il mio primo anno di lavoro nella revisione contabile, ero in macchina con il mio capo e avevamo due ore di tragitto per arrivare dal cliente. Lui lavorava nell’azienda da più di 10 anni e così gli chiesi come mai aveva deciso di lavorare presso quella società, e soprattutto come mai aveva scelto la revisione contabile piuttosto che diventare commercialista. Quando finì di raccontare, anche lui mi fece una domanda, diretta, che mi mise in difficoltà perché nessuno prima di allora mi aveva mai fatto una domanda del genere. Mi chiese: tu cosa sai fare bene? Dopo l’imbarazzo iniziale, in quanto la risposta che mi venne in mente non c’entrava molto con il mio lavoro, gli dissi che ero brava ad ascoltare le persone. Mentre lo dicevo, mi sentivo strana e fuori posto, perché gli avevo dato una risposta che non c’entrava molto con il lavoro che svolgevo per lui: per il resto del viaggio, silenzio totale.

Solo più tardi, compresi perché avevo risposto in quel modo, quando realizzai che il lavoro che facevo non sfruttava le mie competenze e il mio vero talento. Non ero me stessa, perché ero molto occupata a eseguire il lavoro nel modo in cui i miei capi volevano. Loro erano contenti di me e del lavoro che facevo, e i primi anni lo ero anch’io, in quanto credevo che la vita fosse quella di soddisfare il desiderio degli altri, e questo sia al lavoro che anche nella mia vita affettiva. Fortunatamente, in corrispondenza di una crisi in dovuta alla fine di una relazione, capii che la mia vita doveva cambiare, che non potevo andare avanti facendo quello che volevano gli altri. Intrapresi quindi un percorso di crescita personale, con il quale compresi che il mio lavoro nella revisione contabile non sarebbe il lavoro con il quale sarei andata in pensione.

Mi resi conto che effettivamente avevo una competenza o talento che fino a quel momento non credevo fosse utile per una qualsiasi professione, e scoprii anche che non era l’unico talento che avevo: ne avevo altri! Di alcuni me ne ero scordata, come quello dell’osservazione attenta di ciò che succede intorno a me, altri – come la creatività e la capacità di entrare in sintonia con le altre persone – li scoprii strada facendo. Mi resi conto che tanti dei miei talenti erano tenuti nascosti da alcuni traumi che avevo vissuto da piccola e dalla conseguente ansia che avevo sviluppato per tenerle sotto controllo.

Oggi mi sento ricca di talenti e competenze che mi permettono di vedere negli altri ciò che loro non vedono, o perché non si accorgono di averli o in quanto sono nascosti da convinzioni o abitudini.

Ci sono tante vie per capire quali sono i nostri talenti, come ad esempio:

  • Chiedere a qualcuno che conosciamo da poco quale è secondo lui la caratteristica più importante che vede in noi.
  • Oppure, chiedere a noi stessi quale cosa ci viene più facile e naturale fare.
  • Ancora, potremmo lavorare sulle nostre emozioni negative e convinzioni limitanti, scoprendo cosa non stiamo facendo e che invece ci piacerebbe fare.

 

Se anche tu vuoi intraprendere un percorso di crescita personale, che ti permetta di capire meglio quali sono i tuoi talenti naturali, in modo che il lavoro non sia vissuto come un peso ma fatto con passione, o chissà magari anche scoprire che è il momento di prepararti per un grande cambiamento nella tua vita lavorativa o anche di relazione, non esitare a contattarmi. Il primo appuntamento è gratuito.

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CHI SONO

Sono un essere che esiste per dare agli altri ciò che ha imparato, ciò che ha capito. Sono un essere che esiste per imparare ancora, per crescere, per migliorare, per godere di ciò che la vita mi offre oggi.

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