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      Basta sentirsi Vittima!

      • cathiana
      • 15 Marzo 2019

      Fin da piccola, ho sempre visto lontana mia madre, aveva litigato con mio padre, per colpa nostra (parlo in plurale perché ho una sorella gemella). Mio padre mi raccontò che quando avevo due anni, lui da poco era andato in pensione: un giorno tornò a casa prima del solito e trovò mia madre che ci stava sgridando in maniera molto esagerata; mia madre, per giustificarsi di ciò che stava facendo, disse che io e mia sorella stavamo piangendo e lei non ce la faceva più dal rumore che facevamo.

      Per tanto tempo non ho potuto capire come una madre potesse fare questo alle sue figlie, anche se io non mi ricordavo niente, però il vederla lontana da me, confermava ciò che mio padre mi aveva detto. Ora però ho lasciato questo avvenimento nel passato, è un ricordo, ma senza nessuna emozione di sofferenza, come invece mi accadeva spesso anni fa, quando pensavo a questo fatto della mia vita.

      Dopo questo i miei genitori si separarono, pur continuando a vivere nella stessa casa e continuando, quindi, a litigare.

      Per peggiorare la mia situazione, all’età di 4 anni, mentre ero in cucina vicina ai fornelli, mi cadde addosso dell’acqua bollente. Mi rimase un segno sul petto, che quando ero adolescente mi vergognavo a mostrare ma che ora ormai non si nota.

      Perché vi racconto questo? Perché quando avevo più o meno 6 anni, sono stata vittima di molestia sessuale; questo accadde un po’ di volte, dopodiché presi coraggio e lo raccontai a mio Padre. Non lo feci prima perché quanto era successo in precedenza era come se non mi permettesse di reagire subito.

      Questo fatto segnò la mia vita, la mia relazione sia con mio padre che con i miei futuri fidanzati. Da allora lui divento più geloso nei confronti di me e di mia sorella, non potevamo dormire a casa degli altri, non potevamo andare via nei weekend con gli amici, i nostri fidanzati non potevano entrare a casa nostra, insomma, la mia casa era diventata come una prigione.

      Devo aggiungere che comunque i miei genitori non erano molto affettuosi: mia madre mi diceva sempre che non dovevo piangere, ogni volta che mi facevo male, era tutta colpa mia. Smisi così di piangere, perché tanto non ottenevo niente, nessun conforto. Credo sia per questo che il mio letto diventò il mio miglior amico, perché era l’unico ad offrirmi un po’ di conforto, ed era l’unica cosa che sentivo mia, visto che mio padre mi ricordava sempre, che vivevo a casa sua, ed era lui che dava gli ordini.

      Mi fermo qui, credo di avervi già raccontato abbastanza per oggi: questa prima parte della mia vita, con tanti traumi, in una famiglia anaffettiva, mi fece crescere una corazza in modo che io potessi andare avanti, dove le emozioni non erano accettate.

      Dopo tutto ciò che vi ho raccontato, come non sentirsi vittima?  Quando avevo 35 anni, mi sentivo una fallita, mi sembrava di fare una vita che non era mia, nel lavoro guadagnavo meno della segretaria, nonostante io avessi una laurea, le mie relazioni andavano malissimo, mi veniva in mente anche di farla finita tanto niente aveva senso, non ero soddisfatta: mi sentivo vittima della mia famiglia, vittima delle circostanze.

      Per fortuna oggi non è più così! Quando ho compreso che fare la vittima non mi portava niente, decisi a poco a poco, di cambiare la mia vita, chiesi aiuto e iniziai a usare tecniche che mi aiutarono a liberarmi dal mio passato, iniziai a leggere tanto e a studiare. Tutto questo mi ha aiutato a comprendere che tutte le cose che mi erano successe, non erano colpa di mio padre o di mia madre o del destino, ma iniziai a vedere le cose come prove, prove di coraggio e di forza che avevo superato e oggi, grazie a quelle esperienze, posso aiutare chi, come me prima, vede tutto nero e senza speranze.

      Se anche tu stai vivendo un momento brutto della tua vita, dove non vedi soluzioni, e non sai da dove iniziare, chiedi un appuntamento a info@radialcoaching.it.

      Il primo incontro è gratuito.

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      Ennesimo fallimento in amore? Prova e riprova, e niente!

      • cathiana
      • 8 Marzo 2019

      Non capisci cosa succede! I tuoi uomini sono sempre tutti sbagliati! Ti fai domande del tipo: quale sarà stato il mio errore questa volta? Sarà stato qualcosa che ho detto, che ho fatto?

      Scappano tutti, soprattutto quelli che mi piacciono! Quelli che non mi piacciono invece restano solo per il sesso! Mi dicono tutti che sono gran persona, che li so ascoltare, che sono una tipa con i piedi per terra, e anche molto sexy. Ma poi se ne vanno…

      Dopo ogni rottura ti dici basta, non ne voglio più sapere degli uomini! O ti dici, non troverò mai l’uomo giusto per me! O, peggio ancora, c’è qualcosa dentro di me che non va!

      Ed ecco che dopo un po’ che provi a stare da sola, ci ricaschi ancora, va beh riproviamoci, non voglio restare da sola tutta la mia vita.

      Ad un certo punto arriva il giorno in cui sembra tutto a posto: hai conosciuto da poco un uomo, avete seguito “Le regole” (per chi non ha ancora letto il libro di Ellen Fein  e Sherrie Schneider, può chiedermelo a info@radicalcoaching.it) o quasi: è stato lui ad invitarti a uscire, era sempre lui che ti chiamava, era sempre lui a venirti a prendere a casa.

      Ma ecco che lui – dopo che avete iniziato a uscire con una certa regolarità – dopo averti detto che prima d’ora non aveva mai conosciuto una donna come te, ecco che “ti vuole conoscere bene”, tu, che all’inizio eri partita molto tranquilla, ma con un po’ di distacco, perché certo non è il primo che ti dice tutte queste cose (insomma, bisogna andare con i piedi di piombo), però il fatto che lui nota delle cose in voi che sono vere, ti fa sciogliere un po’.

      Inoltre, a volte lui fa delle uscite molto strane e fuori luogo, che ti fanno venire dei dubbi, ma poi vai avanti lo stesso perché mica si può giudicare qualcuno chi si conosce da poco, giusto?

      Dunque, dov’ero rimasta? Ah sì, che dopo tutto questo tempo di conoscenza reciproca, lui ti dice che deve parlarvi.. e fa pure la premessa che non vuole rompere (che ti fa già tremare), ma che dovete parlare.

      Il giorno della fatidica conversazione, ovviamente non vedi l’ora di sapere cosa stia succedendo, ti limiti ad ascoltare attentamente. Lui inizia scusandosi perché ha capito in tutto questo tempo che siete diversi, non siete compatibili, e che la relazione non può andare avanti, perché lui si conosce bene, e ha visto in te cose che non vanno bene per lui, che già dall’inizio c’erano e non lo convincevano ma ha voluto andare avanti per capire meglio. Che in te non c’è niente di sbagliato, ma che non ti vuole prendere in giro, perché ha visto in te una brava persona, molto sensibile e allora preferisce non andare avanti.

      Resti senza parole, sconfitta anche se questo non glielo dite, ma ti senti usata, presa in gira e molto delusa per l’accaduto.

      Qui occorre prestare attenzione: ogni volta che incorrete nella stessa situazione, non fate che rafforzare in voi lo stesso circuito di risposte automatiche, che invece di aiutarvi a cambiare vi fa ripetere gli stessi sbagli, le stesse situazioni, riprovare le stesse emozioni.

      Cosa fare in questi casi? Se hai già provato di tutto, ti sei fatta delle domande, e non trovi delle risposte, non sai come modificare le tue azioni, le tue risposte a queste situazioni, molto probabilmente ci sono degli schemi di risposta che partono in automatico! Se vuoi approfondire, leggi nel mio blog: “Schemi ripetitivi ed emozioni?”. Se invece vuoi provare a cambiare da sola le tue convinzioni, vai sul mio blog e cerca: “Ottimismo e schemi mentali”. Se infine cerchi qualcuno che ti possa aiutare, se non vuoi più perdere tempo puoi cercare me: faccio incontri tramite skype, whatsApp o anche al telefono, quindi non c’è bisogno che tu ti sposti da casa. Il primo incontro è gratuito. Chiedimi un appuntamento a info@radicalcoaching.it

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      Gli errori non ti fermano, ti fortificano. L’unica cosa che può veramente fermati sei tu!

      • cathiana
      • 1 Marzo 2019

      O, più propriamente detto, sono le tue emozioni a fermarti, le tue perplessità, le tue paure, le tue ansie, come risposta davanti a una situazione che è andata male.

      Questo è per esempio quello che è successo a un mio cliente davanti a una decisione da prendere nell’accettare un lavoro diverso dal solito, ma che rientrava nelle sue competenze. Si era fidato a farlo perché delle persone che lui conosceva gli avevano presentato questa nuova società. Lui aveva svolto il suo lavoro correttamente, l’unica cosa era che non aveva approfondito abbastanza tutti gli aspetti di quella collaborazione, e questo a causa della sua inesperienza in quell’ambito.

      Dopo qualche anno, si scoprì che la società con la quale lui aveva lavorato era andata in fallimento, e lui era stato chiamato – con grandi ansie e preoccupazioni da parta sua – a spiegare al curatore fallimentare perché non si fosse reso conto di situazione così delicata della società stessa.

      Dopo quell’errore il mio cliente si chiuse in sé stesso, e non volle più saperne di lavorare in quell’ambito, nonostante fosse un ambito molto redditizio e lui avesse tutte le competenze per avere successo.

      Il mio lavoro con lui è stato quello di aiutarlo attraverso la tecnica del FastReset, facendogli cambiare prospettiva in modo che fosse nuovamente aperto a nuove opportunità, anche se non erano quelle del suo quotidiano, valutandole in modo diverso per limitare futuri errori. Alla fine del lavoro fatto insieme, si rese conto di quanto lui volesse avere sempre tutto sotto controllo, e che ogni volta che qualcosa andava storto – invece di accettare che nella vita ci possono essere situazioni spiacevoli che ti aiutano a crescere – lui si bloccava ed evitava di proseguire.

      L’orientamento verso l’eccessivo controllo porta a dimenticarsi che l’uomo non ha un potere illimitato: è importante sentire di avere il controllo della vita, delle situazioni, in modo di fare del nostro meglio per raggiungere i nostri obiettivi, ma è anche importante l’umiltà di accettare gli errori quando arrivano, perché realmente non possiamo controllare tutto, perché gli imprevisti, gli incidenti, ci possono essere, e purtroppo non sempre si riesce a prevederli.

      Se abbiamo fatto del nostro meglio, possiamo imparare a sentirci in pace con noi stessi, qualunque sia il risultato dei nostri sforzi che, lo sappiamo, non dipende unicamente da noi, ma anche da un po’ di buona fortuna! Solo quando siamo in armonia, possiamo capire meglio quando agire o lasciar perdere, e questa armonia si può trovare lavorando sulle emozioni negative che ci bloccano.

      Se vuoi imparare una tecnica che ti permetta di fare le scelte giuste, con chiarezza e tranquillità, allora contattami.

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      Alla ricerca di riconoscimento.

      • cathiana
      • 22 Febbraio 2019

      Oggi vi voglio raccontare una storia che ho letto su un libro di Jorge Bucay, che parla di quando desideriamo il riconoscimento dagli altri, che però non sono le persone giuste per darci quanto ricerchiamo.

      La storia parla di un giovane che andò da un saggio. Il giovane disse al saggio che si sentiva inutile, che al lavoro era poco considerato, e chiese un aiuto per migliorare, in modo che i colleghi potessero riconoscere il suo lavoro.

      Il maestro gli rispose senza guardarlo: mi dispiace ma in questo momento sono occupato, non posso aiutarti, perché prima ho un problema da risolvere.

      Ma se tu mi aiutassi, magari potrei finire prima, e cosi potrei aiutarti!

      Il giovane, rispose subito sì, anche se si sentiva un po’ messo in disparte, perché prima c’erano i problemi del maestro.

      Bene, disse il maestro. Si tolse un anello che portava al mignolo della mano sinistra e, porgendolo al ragazzo, gli chiese di portalo al mercato e venderlo per almeno una moneta di oro, non di meno.

      Quando il ragazzo arrivò al mercato per offrire l’anello, le persone si avvicinavano finché lui non diceva il prezzo, ma poi se ne andavano e qualcuno rideva, mentre altri si giravano ad osservarlo e compatirlo. Solo un anziano gli disse che una moneta d’oro era troppo per quell’anello.

      Demoralizzato per il fallimento, tornò dal maestro è gli raccontò l’accaduto, dicendo che non poteva ingannare nessuno riguardo al valore dell’anello.

      Il maestro rispose che quello che aveva detto era molto importante. Infatti, prima occorreva conoscere il vero valore dell’anello. Quindi mandò il giovane dal gioielliere del paese, una persona che dunque si intendeva di gioielli, ma con l’ordine di non vendere l’anello a nessun prezzo.

      Il gioielliere esaminò l’anello alla luce della lanterna, lo guardò con la lente, lo soppesò e disse al ragazzo che, se avesse voluto venderlo in quel momento, non avrebbe potuto offrirgli più di cinquantotto monete d’oro.

      Il ragazzo ripete la cifra, sconcertato dall’importo, e il gioielliere gli disse di riferire al maestro che, se poteva aspettare qualche tempo, avrebbe potuto ottenere settanta monete d’oro.

      Il ragazzo torno subito dal maestro, per raccontare l’accaduto.

      Siediti, disse il maestro dopo averlo ascoltato. Tu sei come questo anello: un gioiello unico e prezioso. E come tale puoi essere valutato soltanto da un vero esperto. Perché pretendi che chiunque sia in grado di scoprire il tuo vero valore?

      Quando ti sei ritrovato nella posizione del Giovane? Sei riuscito a trovare la persona giusta che vedesse in te il tuo vero valore? Continui a cambiare lavoro perché non ti senti abbastanza apprezzato? Continui a cambiare partner perché non trovi quello che realmente ti valorizza per quello che sei?

       

      Se sei stanco di cambiare lavoro, di cambiare fidanzato, di cambiare amici, scuole, e vuoi affrontare il problema, allora io ti posso aiutare, scrivimi a  info@radicalcoaching.it

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      Smetti di mangiare peperoncini e sii felice!

      • cathiana
      • 15 Febbraio 2019

      Oggi vi racconto una storia sulla felicità che ho sentito in una conferenza di Alejandro Jodorowsky; inizia così..

      In Medio Oriente c’è un saggio un po’ idiota, che si chiama Mulan Arundhin. Non si sa, appunto, se è idiota o saggio: i bambini ridono quando lo sentono parlare, mentre altri saggi, e anche alcuni professori, lo portano ad esempio se ti vogliono portare a scoprire qualcosa di te stesso!

      Mulan Arundhin è seduto all’uscita del mercato, ha un gran pacco di peperoncini, e se li mangia, diventando tutto rosso (rosso perché il peperoncino è molto piccante).

      Immaginiamo ora che la moneta di questo paese sia l’euro.

      Un amico che passa per il mercato vede Mulan, gli chiede cosa fa con tutto questo peperoncino e, soprattutto, quanto ne ha comprato?

      Mulan Arundhin risponde: un chilo!

      L’amico: ma dove lo hai preso?

      Mulan Arundhin: al mercato, a 10 euro il chilo

      L’amico gli chiede: come mai li stai mangiando tutti adesso?

      Mulan Arundhin risponde: non sto mangiando i peperoncini, mi mangio i miei 10 euro visto che li ho spesi.

      In questo momento, Mulan Arundhin è una persona che si sta torturando, perché ha spesso 10 euro!

      Io mi domando: “che peperoncino mi sto mangiando? che cosa continuo a fare visto che ho già spesso i miei soldi? Perché credo di non poter fare nulla di diverso!  Come mai non riesco ad affrontare il fatto che una cosa che ho scelto, che credevo fosse la cosa giusta in quel momento, possa essere diversa dopo?

      • magari avevo delle aspettative;
      • magari lo avevo fatto solo per accontentare qualcuno;
      • magari lo avevo fatto perché tutti facevano così.

      Una volta capita la ragione per la quale continuo a mangiare i peperoncini, come mai non smetto di mangiare i peperoncini? Ci sono per caso delle convinzioni che mi bloccano? Per esempio:

      • Non posso buttare i miei soldi, mi sono sforzato troppo per guadagnarli
      • Ho fatto di tutto per trovarlo! Ora non posso lasciarlo.
      • Tutto quello che inizio devo finirlo!
      • Se gli altri ci riescono, allora ci riesco anch’io.
      • Meglio il vecchio conosciuto che il nuovo che non conosco.

      Se ti trovi a mangiare peperoncini e non sei felice di quello che fai, allora smetti di farlo. Se non ci riesci, molto probabilmente ci sono delle convinzioni che ti limitano e ti serve una tecnica per cambiarle!

      Contattami a: info@radicalcoaching.it

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      Come diventare life coach

      • cathiana
      • 8 Febbraio 2019

      Voglio raccontarvi come lo sono diventata.

      All’inizio non conoscevo il coaching. Mi ero ritrovata in un momento della mia vita dove necessitavo di risolvere un bisogno personale e avevo cercato per prima una figura di psicoterapeuta, in quanto conoscevo solo quella professione.

      Cosi iniziai a cercare degli psicologi, ma non trovai quello giusto per me. Chiesi a una amica se conosceva qualcuno e mi diede un nome di una psicoterapeuta ma, dopo due mesi che andavo da lei, per ben due sedute fu lei che finì per parlarmi dei suoi problemi con i suoi figli. Decisi così che era il momento di concludere…

      Ero rimasta molto delusa da quella esperienza, non avevo risolto il mio problema e avevo perso il mio tempo, oltre che peggiorato qualche mio dubbio. Ad ogni modo, anche da quella esperienza potei trarre un aspetto positivo: a causa dell’insistenza della psicoterapeuta, iniziai infatti a frequentare yoga e, sempre grazie a lei, nella mia mente iniziava ad affiorare l’idea che l’aiutare agli altri poteva essere la mia vera vocazione, anche se in quel momento il fatto di dover rimettermi a studiare non mi attirava molto.

      Per un anno, dunque, provai a “fare da me”: iniziai a prendere i fiori di bach, che mi aiutarono molto ma lavorano solo sul “qui e ora” senza andare in profondità. Poi iniziai a leggere un libro che contribuì ad aprirmi gli occhi: “Donne che amano troppo”, della Norwood. Grazie a questo libro capii che il dare troppo agli altri – senza sapere amare e conoscere prima a se stessi – poteva essere un problema, ma quello che mi fece andare oltre fu un altro suo libro: “Guarire coi perché”.

      Dopo aver letto i libri della Norwood, cercai dunque un gruppo di aiuto per donne che amano troppo. La conduttrice era un counselor, ma mi resi conto che non era posto per me: c’erano persone con problemi seri, e mi sembrava che alla fine le altre persone presenti mi ostacolavano nelle mie scoperte personali. Io avevo bisogno di altro. Iniziai a interessarmi alla figura del counselor: mi piaceva l’idea che dopo tre anni di studi, si potessero aiutare le persone. Trovai nel frattempo un Istituto dove parlavano anche del coaching, e di un corso che durava solo 6 mesi! Per me fu fantastico perché, anche se il corso aveva un costo elevato, pensai che invece di andare in vacanza – e buttare i soldi, perché quando tornavo i miei problemi tornavano – forse era meglio investire in qualcosa che mi potesse aiutare.

      Che dire, dopo questa esperienza la mia vita iniziò a cambiare. Finalmente avevo trovato il percorso giusto per me. Le esperienze passate mi erano servite per capire cosa non volevo diventare, e invece quella del coaching, anche se fu breve, fu molto intensa e mi permise di capire quali erano i miei difetti, ma anche quali i miei potenziali sul quale focalizzarmi per costruire il mio futuro.

      Questa è stata la mia esperienza che mi ha portato, dopo aver conosciuto il coaching, ad approfondire i miei studi in psicologia e a partecipare ad altri percorsi come il Fast Reset e il Reiki, fino a decidere di lasciare la mia professione ed intraprenderne una nuova, che considero più mia.

      Ho conosciuto persone che occupano posizioni di leadership, manager, professionisti, consulenti, maestri ma anche psicoterapeuti, psicologi, e operatori sanitari che, lavorando nelle relazioni di aiuto, hanno desiderato acquisire degli strumenti di crescita personale per lavorare sia su se stessi che anche su gli altri. Gli strumenti del coaching li hanno aiutati a migliorare la loro empatia, a migliorare la loro sintonia con le persone che stanno loro attorno. L’acquisire le capacità di coaching può infatti essere di aiuto nella vita di tutti i giorni, come nell’aiutare un amico in difficolta, nel guidare un collaboratore ad essere più performante o supportare i propri figli, e anche nel migliorare le relazioni di coppia.

      Se ancora non hai le idee chiare sul tuo futuro professionale o sul tuo percorso di crescita personale, richiede gratis: “come diventare coach di te stesso”  https://www.radicalcoaching.it/il-mio-regalo/

      Se invece stai pensando di fare un corso certificato per diventare Life Coach, allora chiedi informazione del mio corso che avrà inizio dopo l’estate. Scrivimi a info@radiacalcoaching.it

      Chi si ferma non si forma!

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      Una Leadership riconosciuta e condivisa

      • cathiana
      • 25 Gennaio 2019

      Oggi vorrei iniziare con una storia.

      Una coppia (Luca e Donatella) e la sorella di lei (Silvana) decidono di andare in montagna, a fare una ciaspolata. Per Silvana è la terza uscita, invece per Donatella è la seconda volta. Lui invece è più pratico dello sci che delle ciaspole, conosce la zona perché in passato e per tanti anni è andato a sciare, questa volta però vorrebbe fare un percorso meno battuto, ma comunque segnalato. Lui sa che le due donne sono molto sportive, e crede che anche per le ciaspole non siano alle prime armi. Chiede loro se vogliono andare su un percorso piatto o se invece vorrebbero salire sulla montagna perché lui è curioso di vedere cosa c’è oltre il crinale, loro rispondono che salire non sarà un problema. Inizia dunque la salita: Luca è davanti, apre la strada, le due sorelle sono dietro. Finché il percorso è pianeggiante, nessuno ha problemi e tutti hanno più o meno la stessa andatura. Quando si inizia a salire, Donatella procede più lentamente, Luca – che è davanti – va a controllare per capire come mai la sua compagna sta rallentando. Si rende conto che non sta usando bene le ciaspole: le spiega che per le salite è meglio se sganci dietro, in modo che il passo si alleggerisca e lei sia più libera di camminare. Donatella, però, è una donna un po’ testarda, e risponde che si sente più comoda cosi, anche se va piano. Silvana la sorella, vedendo e ascoltando la situazione, conferma ciò che Luca sta dicendo, ma comunque non ottiene nessun risultato. Dice a Luca di non preoccuparsi, lei conosce bene sua sorella e sa che in queste situazioni è meglio lasciarla con le sue convinzioni – anche se sbagliate – in quanto prima o poi si renderà conto del suo errore. Così tutti e tre continuano a salire, anche se al rallentatore.

      Più avanti si presenta un’altra difficoltà: le due sorelle si ritrovano a camminare sul fianco della montagna e, causa l’inesperienza, non sanno bene come mettere i piedi. Silvana scivola, senza però farsi troppo male. Luca, che le precedeva, torna indietro e le spiega come deve mettere sia i piedi che il corpo in situazioni come questa. Silvana ascolta e ci prova, ma fa fatica, dice comunque a lui di non rallentare troppo e di continuare ad andare avanti, di non fermarsi. Luca riprende a condurre il piccolo gruppo e, quando stanno per arrivare a pochi metri dalla cima, si accorge che Donatella è stanca morta, soprattutto perché non ha voluto ascoltare i suoi consigli riguardo l’uso delle ciaspole.

      A questo punto, finalmente, Donatella si rende conto del suo errore: è molto stanca e rimane in fondo alla fila. Anche la sorella fa fatica a salire. Luca vuole arrivare in cima, ma vorrebbe che arrivassero tutti insieme. Si fermano per capire la situazione. C’è una piccola discussione sul fatto che le donne non sono molto pratiche delle ciaspole e quindi Luca vuole tornare indietro perché le sue compagne di avventura non ce la fanno, ma le due donne gli chiedono di non fermarsi: anche se sono stanche, piano piano riusciranno ad andare avanti. Lui è più tranquillo e continua la salita, voltandosi sempre per controllare che le due donne lo seguano, arriva per primo in cima e poi torna indietro dicendo che la strada per la vetta è ancora lunga, ma si sta facendo tardi e il sole inizia a scendere: forse è meglio non proseguire.

      Decidono allora tutti insieme di avviarsi verso il ritorno.

       

      Con questa storia ho voluto farvi vedere che nella vita di un gruppo, quando c’è rispetto reciproco, non è difficile condividere un obiettivo e identificare chi è la guida, che può esercitare il suo carisma grazie alla sua esperienza e alla voglia di fare cose nuove con le competenze costruite nel tempo. In queste situazioni, gli altri si affidano, e nella fiducia reciproca non ci sono problemi di comunicazione: se c’è qualcosa che non va si discute, si arriva a una soluzione migliore sia per il singolo che per il gruppo, perché si riconosce che ogni singola persona ha le proprie capacità per risolvere i problemi coi propri tempi, e alla fine si arriva così ad una soluzione. Certo, nella situazione che vi ho presentato qui la fiducia si ha perché ci si conosce, ma perché allora anche nelle aziende non si fa la stessa cosa, diventando un gruppo unito, dove tutti si conoscono e si fidano degli altri?

      I giapponesi sono molto avanti nel promuovere conoscenza reciproca e fiducia negli altri: per esempio, alla Panasonic una volta alla settimana un dipendente, a prescindere dalla sua posizione, deve parlare per 10 minuti davanti a tutti. Può dire qualsiasi cosa, parlare di economia, su un fatto di cronaca, addirittura raccontare una barzelletta. Questo gli permette di farsi conoscere, e aumenta la sua fiducia in sé stesso.

      Voi nelle vostre aziende, cosa fatte per creare un ambiente coeso, dove ogni persona può dire realmente ciò che sente o pensa, senza paura di essere frainteso o richiamato?

       

      Se pensate di aver bisogno di un intervento di coaching per migliorare l’ambiente lavorativo, chiedete informazioni e vi preparerò una proposta su misura.

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      Il mio rinnovato incontro con la spiritualità

      • cathiana
      • 18 Gennaio 2019

      Leggendo uno dei tanti libri scritti da Lowen (padre della bioenergetica), mi rimase impresso il suo desiderio che il figlio frequentasse una scuola cattolica, perché per lui era importante che il ragazzo crescesse con dei valori e soprattutto che sapesse dell’esistenza di Dio: da grande, questa conoscenza lo avrebbe aiutato nei momenti di difficoltà. Mentre programmava il percorso di studi del figlio, si rese però conto che egli era già in contatto con Dio. E cosi decise di fargli frequentare una scuola normale.

      In effetti credo anch’io che i bambini fino ai cinque anni, più o meno l’età in cui non hanno ancora iniziato la scuola, sono ancora molto a contatto con Dio, lo sentono essendo in contatto con la loro vera natura. Quando invece iniziano con la scuola sperimentano le prime paure: di stare da soli senza la mamma, di persone che non conoscono, magari anche di maestre un po’ ostili, e – perché no – di dover imparare tante nuove cose. Tutti questi cambiamenti creano dei disagi che bloccano le capacità di sentire, e allora quel bambino si dimentica di Dio, si allontana da lui, smette di sentire che fa parte di qualcosa di più grande di lui. E ci si dimentica chi siamo e cosa siamo venuti a fare in questo mondo.

      Nella mia vita, a me era successo qualcosa di simile: vi racconterò quindi come era il mio rapporto con Dio e poi del perché mi allontanai da Lui. Comunque, anche se non ne volevo sapere più niente, lo stesso lui c’era e me lo faceva sentire, ma io non capivo.

      Ricordo ancora quando mio padre, tutte le sere prima di andare a dormire, mi insegnava a pregare. Questo rito costantemente ripetuto mi piaceva, mi faceva sentire a contatto con papà. Di notte, quando avevo paura, non sapevo come addormentarmi e allora provavo a contare le pecore, ma non funzionava. Così iniziavo a pregare fino a quando mi addormentavo. Questo mi faceva sentire protetta.

      Quando frequentavo le elementari, mio padre mi accompagnava a catechismo tutte le domeniche: mi stavo preparando per la prima comunione, mi ricordo che mi piaceva ascoltare le storie raccontate dei preti riguardo la vita di Gesù, cantare le canzoni durante la messa, le avevo imparate quasi tutte. I miei genitori erano separati, per questo era mio padre a portarmi in chiesa, a scuola, al parco. Spesso prima di sera lo accompagnavamo a comprare il pane, mentre nel weekend andavamo insieme al mercato. Quando tornavamo a casa, mio padre si lamentava di mia madre e ci raccontava della loro storia, di come si erano conosciuti, del perché si erano sposati ed il motivo per cui, dopo avere avuto 6 figli, decisero di separarsi.

      Lui parlava sempre male di lei, diceva che era una cattiva madre e per questo aveva deciso di occuparsi delle ultime tre figlie, infatti lui mi faceva sia da Padre che da Madre, nonostante mia madre vivesse nella nostra stessa casa.

      Quando divenni adolescente, l’odio di mio padre verso mia madre aumentò, e io non capivo come un uomo così religioso non potesse perdonare quanto secondo lui mia madre faceva e aveva fatto in passato. Dopo tutto, la chiesa cattolica ci diceva di perdonare tutti, e che l’odio è sbagliato. Iniziai così a non andare più in chiesa con lui, perché ciò che faceva mi sembrava un’ipocrisia, mi sembrava troppo facile andare in chiesa e dire: “mia colpa, mia colpa”, e poi tornare a casa uguale con lo stesso atteggiamento. Iniziai a non credere più in Dio e nella Chiesa Cattolica, anche se dopo la comunione feci anche la cresima principalmente per senso del dovere, perché a scuola i miei amici lo facevano e perché la mia famiglia era cattolica, e non potevo fare diversamente. Anche dopo l’esperienza positiva del ritiro spirituale, svolto prima di fare la Cresima, non sono tornata ad aver fiducia in Dio, ma avevo comunque iniziato a sentire qualcosa dentro di me, che in quel momento non sapevo bene cosa fosse.

      Passato diverso tempo, verso i 36 anni ho avuto quella che può essere considerata una “crisi esistenziale”, che mi ha portato a compiere una ricerca di crescita personale per capire cosa stesse succedendo nella mia vita. Decisi di fare il corso di coaching per capire se quella potesse essere la mia strada. Al termine del percorso, ancora non ero tornata a credere in Dio, però iniziai a farmi delle domande riguardo a Lui, se veramente esistesse o no, e se fosse giusto che le persone lasciassero a Lui tutto il potere di risolvere il loro problemi.

      Dopo questa bellissima esperienza, capii che il mio percorso di crescita personale stava iniziando, con una nota più positiva, che il coaching era la strada giusta per me, e anche se avevo ancora tanto da lavorare e migliorare su me stessa, ora avevo tanti strumenti con i quali avrei potuto proseguire da sola, almeno per un po’. Sentivo di non avere bisogno di guide esterne, ma che dovevo iniziare a seguire il mio istinto.

      Riprendendo il filo del discorso sul mio allontanamento da Dio e della chiesa cattolica, causati della mia delusione per il comportamento di mio padre, l’aver scoperto che la mia strada stava cambiando mi fece capire che avevo ancora tanto da capire. Continuai dunque a cercare corsi che mi aiutassero a comprendere come stavo progredendo, e cosi trovai un corso che mi piaceva molto, che mi portò anche ad acquisire il primo livello reiki.

      Reiki, ma cos’è? Non lo sapevo, ma visto che era un requisito per ottenere un attestato che desideravo tanto, mi convinsi a farlo.

      Per me è stata un’esperienza molto illuminante: il contatto con questa esperienza mi ha dato pace, tranquillità, apertura mentale. Più usavo il reiki, più mi faceva sentire parte di qualcosa di più grande. Ho iniziato a capire che tutta quella energia che avevo sentito durante tutta la mia vita, era la sua presenza, è che io per cause di tutte le mie paure, convinzioni limitanti, mi ero allontanata da questa forza. Grazie al Reiki ho ripreso a sentirla, a capire che non sono da sola nel mondo, che basta che mi connetta con lui per sentirla, e questo mi ha permesso di avere più fiducia in me stessa, mi ha fatto sentire che ce la posso fare, che posso andare avanti nella vita, che semplicemente devo ascoltare la guida che è dentro di me, che sa cosa devo fare e mi connette con chi è più grande di me.

      Quella energia, che qualcuno chiama Dio, Allah, Yahweh, Tao, Reiki, semplicemente essere, c’è, esiste, e credo che solo sentendola uno può capire il suo significato.

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      Radicalcoaching

      Vivere senza stress

      • cathiana
      • 11 Gennaio 2019

      È possibile?  Si, quando accettiamo di avere un problema e che ci servono degli strumenti per affrontarlo. Ad esempio, la tecnica del FastReset ci permette di cambiare la nostra risposta a quelle situazioni che ci sembrano insormontabili, avendo come risultato una migliore gestione della situazione e – a volte – anche trovando delle soluzioni che prima d’ora non venivano alla nostra coscienza, perché rapiti nel mantenere attiva la nostra risposta automatica.

      Cerchiamo però prima di capire cosa è uno stress. Selye (1996) formulò la seguente definizione di stress: risposta relativamente specifica dell’organismo ad uno stimolo che ne minaccia la sopravvivenza e l’integrità fisica e che destabilizza l’omeostasi.

      Dunque, un evento diventa stressante quando l’individuo lo percepisce come minaccioso o quando si prende coscienza di non avere a disposizione risorse o strategie per farvi fronte. L’interpretazione da parte di un individuo ha un ruolo importante nel determinare ciò che è stressante e ciò che non lo è.

      Un altro elemento fondamentale in relazione allo stress è il livello di intensità che questo può raggiungere, il che porta a una classifica di diverse situazioni stressanti come:

      • Stressori cataclismici: di elevata intensità che insorgono all’improvviso e influenzano molte persone. Ne sono esempi i tornado, gli incidenti aerei e gli attacchi terroristici. Alcune persone che hanno sperimentato qui un altro grado di stress sono soggette a un Disturbo Postraumatico da Stress (PTSD).
      • Stressori personali: relativi a eventi importanti della propria vita, come può essere la perdita del lavoro, di un genitore o di un coniuge, un fallimento personale, producono una reazione immediata e rilevante che gradualmente si affievolisce.
      • Stressori ambientali (fatiche quotidiane): ad esempio le lunghe file d’attesa, il traffico intenso, i rumori della città, comportamenti irritanti degli altri, insoddisfazione sul lavoro o nelle relazioni intime – che di per sé non attivano un elevato livello di stress -, quando si sommano possono avere lo stesso peso di un singolo evento stressante più grave.

      Le persone che riescono ad affrontare lo stress con più successo hanno un tratto di personalità definito hardiness, caratteristica di invulnerabilità allo stress.

      L’hardiness è costituita da tre componenti:

      ‐ l’impegno (commitment), cioè la tendenza a lanciarsi in qualsiasi compito con la sensazione che sia importante e significativo;

      ‐ la sensazione di sfida (challenge), ritenere che il cambiamento sia la condizione normale della vita;

      ‐ la sensazione di controllo (control), considerata come la percezione che le persone siano in grado di influenzare gli eventi della propria vita.

      Queste persone usano strategie sia per regolare la risposta allo stress, quando le sue cause sono immodificabili, sia l’attuazione di piani per modificare la causa dello stress, quando questo appare modificabile.

      Le persone che invece non riescono ad affrontare lo stress in maniera positiva utilizzano meccanismi di difesa che distolgono o negano la natura stessa delle situazioni. Purtroppo, questi sono dei meccanismi che non affrontano la realtà, ma semplicemente evitano il problema.

      Se, dunque, vivi delle situazioni sia al lavoro che nella vita familiare che ti sembrano immodificabili, che ritieni di dover accettare e subire, sappi che quelle sensazioni legate a queste situazioni si possono cambiare attraverso la tecnica del FastReset, creata dalla Dott.sa Maria Grazia Parisi, che aiuta a diminuire la componente negativa delle emozioni che ci impediscono di trovare le soluzioni ai nostri problemi.

      Se vuoi venire a trovarmi per conoscere questa tecnica e provarla, il primo incontro è gratuito!

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      Radicalcoaching

      Ottimismo e schemi mentali.

      • cathiana
      • 30 Novembre 2018

      È meglio essere ottimisti e avere torto piuttosto che pessimisti e avere ragione.

      – Albert Einstein –

       

      Come trovare il lato positivo in un momento negativo di difficoltà. Ecco alcuni accorgimenti da seguire:

      * Non guardare solo il muro che c’è davanti a te, ma guardati intorno. Puoi trovare un’altra via di uscita! Alcuni scienziati hanno fatto un esperimento con una scimmia, la più dotata del gruppo. L’hanno chiusa in una cella con attaccato un casco di banane posto molto in alto, e l’hanno osservata per diversi giorni. Essi videro come la scimmia provasse per diversi giorni a saltare in continuazione per prendere queste banane. Quando sembrava che la scimmia si fosse arresa, trovandosi a terra ormai frustrata perché non riusciva a prendere quelle dannate banane… la scimmia si girò e vide uno sgabello… non vi dico la sua espressione di felicità e soprattutto come, dopo averlo afferrato ed esserci salita sopra, si mangiò gustosamente le desiderate banane 😉 La morale è che non bisogna mai risolvere un problema con la stessa soluzione già sperimentata che non funziona, ma bisogna ampliare la propria cornice, esplorare ulteriori possibilità e provare nuove soluzioni.

      * Non guardare mai l’erba del vicino! So che sempre è più bella, più verde, ma a volte ci fa solo perdere tempo perché ci disorienta dal nostro obiettivo, ci fa perdere energie. Piuttosto, guarda dentro di te e valorizza ciò che hai, usa i tuoi talenti per perseguire i tuoi obiettivi. Solo lavorando sodo, restando nel qui e ora, dando il massimo di te senza nessuna pretesa, potrai arrivare a realizzare i tuoi obiettivi.

      * Cambia le tue convinzioni e credenze limitanti! Ad esempio, pensiamo spesso: “sono fatto così, non posso cambiare, è impossibile, è più forte di me!” Ecco, ogni volta che dici così ti sei formato uno schema mentale che molto probabilmente si è costituito quando eri piccolo, o da giovane, e da allora questo schema entra in azione in automatico, più lo ripeti più si rinforza, più credi che sia così più diventa inconscio! È per questo che tu credi che non si possa cambiare, perché ormai non è più nella tua coscienza; ma non ti preoccupare, non tutto è perduto. Una volta si pensava che i pensieri, i comportamenti, i caratteri, i modi di fare, non si potessero cambiare; per fortuna le neuroscienze hanno sfatato questo mito; ormai si sa che i neuroni sono in continuo cambiamento, nascono, crescono, si modificano e quelli che non servono, muoiono! Dunque, basta volere il cambiamento per fare qualunque cosa tu voglia fare.

       

      Ora ti do un semplice esercizio utile a depotenziare i pensieri negativi: scrivere una frase.

      Sei seduto comodo? Con le gambe rilassate (non incrociate o accavallate), hai la schiena diritta? Ok, adesso prendi penna e carta! Fatto? Ora scrivi: la mia convinzione che sia impossibile cambiare il mio modo di pensare vuole convincermi che le cose stanno così… (esplicita poi chiaramente ciò che realmente pensi di questa situazione). Ora, ripeti la frase ad alta voce (o anche solo mentalmente) e quando hai finito inspira profondamente e sposta il tuo sguardo, espirando, verso le mani. Ripeti questa azione almeno 3 volte, poi pronuncia questa frase “di rilascio”: lascio andare la mia convinzione che sia impossibile cambiare il mio modo di pensare perché le cose stanno così. Tutto quello che non serve, non mi interessa e non mi appartiene più!

      Ricorda: ogni volta che hai una convinzione o credenza limitante, che ti inibisce o ti blocca nell’azione, puoi formare una nuova frase simile a questa frase, ripeterla respirando e guardando le tue mani. Ripeti l’azione almeno 3 volte e poi pronuncia la frase di rilascio.

      Nella vita i problemi ci saranno sempre, ma se tu li saprai prendere con ottimismo vedrai che i problemi sono ostacoli che si possono superare….

      Se invece è da un po’ che provi a modificare uno schema ripetitivo senza riuscirci, allora chiamami!

       

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