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      Radicalcoaching

      Una Leadership riconosciuta e condivisa

      • cathiana
      • 25 Gennaio 2019

      Oggi vorrei iniziare con una storia.

      Una coppia (Luca e Donatella) e la sorella di lei (Silvana) decidono di andare in montagna, a fare una ciaspolata. Per Silvana è la terza uscita, invece per Donatella è la seconda volta. Lui invece è più pratico dello sci che delle ciaspole, conosce la zona perché in passato e per tanti anni è andato a sciare, questa volta però vorrebbe fare un percorso meno battuto, ma comunque segnalato. Lui sa che le due donne sono molto sportive, e crede che anche per le ciaspole non siano alle prime armi. Chiede loro se vogliono andare su un percorso piatto o se invece vorrebbero salire sulla montagna perché lui è curioso di vedere cosa c’è oltre il crinale, loro rispondono che salire non sarà un problema. Inizia dunque la salita: Luca è davanti, apre la strada, le due sorelle sono dietro. Finché il percorso è pianeggiante, nessuno ha problemi e tutti hanno più o meno la stessa andatura. Quando si inizia a salire, Donatella procede più lentamente, Luca – che è davanti – va a controllare per capire come mai la sua compagna sta rallentando. Si rende conto che non sta usando bene le ciaspole: le spiega che per le salite è meglio se sganci dietro, in modo che il passo si alleggerisca e lei sia più libera di camminare. Donatella, però, è una donna un po’ testarda, e risponde che si sente più comoda cosi, anche se va piano. Silvana la sorella, vedendo e ascoltando la situazione, conferma ciò che Luca sta dicendo, ma comunque non ottiene nessun risultato. Dice a Luca di non preoccuparsi, lei conosce bene sua sorella e sa che in queste situazioni è meglio lasciarla con le sue convinzioni – anche se sbagliate – in quanto prima o poi si renderà conto del suo errore. Così tutti e tre continuano a salire, anche se al rallentatore.

      Più avanti si presenta un’altra difficoltà: le due sorelle si ritrovano a camminare sul fianco della montagna e, causa l’inesperienza, non sanno bene come mettere i piedi. Silvana scivola, senza però farsi troppo male. Luca, che le precedeva, torna indietro e le spiega come deve mettere sia i piedi che il corpo in situazioni come questa. Silvana ascolta e ci prova, ma fa fatica, dice comunque a lui di non rallentare troppo e di continuare ad andare avanti, di non fermarsi. Luca riprende a condurre il piccolo gruppo e, quando stanno per arrivare a pochi metri dalla cima, si accorge che Donatella è stanca morta, soprattutto perché non ha voluto ascoltare i suoi consigli riguardo l’uso delle ciaspole.

      A questo punto, finalmente, Donatella si rende conto del suo errore: è molto stanca e rimane in fondo alla fila. Anche la sorella fa fatica a salire. Luca vuole arrivare in cima, ma vorrebbe che arrivassero tutti insieme. Si fermano per capire la situazione. C’è una piccola discussione sul fatto che le donne non sono molto pratiche delle ciaspole e quindi Luca vuole tornare indietro perché le sue compagne di avventura non ce la fanno, ma le due donne gli chiedono di non fermarsi: anche se sono stanche, piano piano riusciranno ad andare avanti. Lui è più tranquillo e continua la salita, voltandosi sempre per controllare che le due donne lo seguano, arriva per primo in cima e poi torna indietro dicendo che la strada per la vetta è ancora lunga, ma si sta facendo tardi e il sole inizia a scendere: forse è meglio non proseguire.

      Decidono allora tutti insieme di avviarsi verso il ritorno.

       

      Con questa storia ho voluto farvi vedere che nella vita di un gruppo, quando c’è rispetto reciproco, non è difficile condividere un obiettivo e identificare chi è la guida, che può esercitare il suo carisma grazie alla sua esperienza e alla voglia di fare cose nuove con le competenze costruite nel tempo. In queste situazioni, gli altri si affidano, e nella fiducia reciproca non ci sono problemi di comunicazione: se c’è qualcosa che non va si discute, si arriva a una soluzione migliore sia per il singolo che per il gruppo, perché si riconosce che ogni singola persona ha le proprie capacità per risolvere i problemi coi propri tempi, e alla fine si arriva così ad una soluzione. Certo, nella situazione che vi ho presentato qui la fiducia si ha perché ci si conosce, ma perché allora anche nelle aziende non si fa la stessa cosa, diventando un gruppo unito, dove tutti si conoscono e si fidano degli altri?

      I giapponesi sono molto avanti nel promuovere conoscenza reciproca e fiducia negli altri: per esempio, alla Panasonic una volta alla settimana un dipendente, a prescindere dalla sua posizione, deve parlare per 10 minuti davanti a tutti. Può dire qualsiasi cosa, parlare di economia, su un fatto di cronaca, addirittura raccontare una barzelletta. Questo gli permette di farsi conoscere, e aumenta la sua fiducia in sé stesso.

      Voi nelle vostre aziende, cosa fatte per creare un ambiente coeso, dove ogni persona può dire realmente ciò che sente o pensa, senza paura di essere frainteso o richiamato?

       

      Se pensate di aver bisogno di un intervento di coaching per migliorare l’ambiente lavorativo, chiedete informazioni e vi preparerò una proposta su misura.

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